Un alto grido




Oggi è un giorno molto doloroso per me. Un mio amico è morto, probabilmente stroncato da un'embolia. Aveva quarantaquattro anni, una moglie e due figli, uno di diciotto e l'altro di otto anni. Aveva una gamba ingessata e, proprio oggi, avrebbe dovuto togliersi il gesso. Quindi questa mattina si è alzato, ha fatto colazione con la sua famiglia, poi la moglie è andata ad accompagnare il bambino a scuola, il figlio più grande ha deciso di dormire altri cinque minuti e lui è andato in camera da letto per cambiarsi. Quando la moglie è tornata a casa, lo ha trovato a terra, tra il letto e il muro. Morto. Suo figlio è corso in camera e ha cercato con tutte le sue forze di rianimarlo. Ma non c'è stato niente da fare. 
Io ero per strada, con mia cugina. Avevamo appena bevuto un succo di frutta in un bar e stavo per tornare a casa. Mio marito mi ha chiamata mentre stavo salendo in macchina. E' stato davvero uno shock. Il mio cervello ha fatto una resistenza spietata. Semplicemente, non era possibile. 
Così ho deciso di fare una cosa che non avevo mai fatto in tutta la mia vita: ho iniziato a camminare (anche se, in realtà, avevo la sensazione che solo una parte di me stesse camminando: il trasparente involucro vuoto di una cicala che rotolava nel vento) e mi sono diretta verso casa sua, pur sapendo che lui era ancora lì. Ho subìto un orrendo trauma da bambina a seguito del quale ho il terrore dei corpi morti, umani o animali che siano. Sarà per questo che nei miei romanzi sono sempre stata così crudamente dettagliata quando si trattava di descrivere fenomeni cadaverici: era il mio modo per esorcizzare il terrore, per scomporlo un pezzo alla volta, per classificarlo nello "scientifico", nel "naturale". Nonostante tutto, mai nella vita avevo messo piede in una casa in cui riposava un morto. Ma oggi ho avuto bisogno di essere lì per credere, per assicurarmi che non si trattasse di uno scherzo di pessimo gusto. Di nuovo Xanax, dunque. Di nuovo la gola piena di sabbia. 
Nel cortile di casa sua c'erano molte persone. C'erano anche molti adolescenti che piangevano a dirotto per il padre del loro amico, per il loro amico, per il nostro amico. Oggi ho capito che vedere la disperazione dei giovani è davvero devastante. 
Mi sono fatta forza e sono entrata, salendo le scale un gradino alla volta, con la forza di gravità diventata quasi un peso insostenibile per le mie gambe, sotto lo sguardo sereno del mio amico che mi sorrideva dalle foto color seppia appese ai muri.
Arrivata in casa ho sentito che non poteva essere altro che vero. C'era quel peso, quello stesso peso opprimente che c'era in casa mia il giorno in cui mio fratello morì, quando avevo undici anni. E c'era il medico necroscopo che, davanti alla moglie sconvolta e in stato di shock, mostrava tutto il cinismo del suo lavoro. Quello sguardo nero lo conosco bene: è lo sguardo di chi cerca di sopravvivere al proprio lavoro. 
Lui era in camera. Mi hanno detto che "dormiva". Non ho voluto vederlo, il mio coraggio non è arrivato a tanto. Mi hanno detto che sua madre non l'ha lasciato solo nemmeno un istante, è rimasta sempre vicino a lui. 
Le parole pesavano, le parole ferivano come quelle di vent'anni fa. Lame di rasoi, specialmente quelle che si scambiavano l'avvocato e il medico legale. Oggi ho odiato il paese in cui viviamo e tutta la sua stupida burocrazia. Pretendevano che lui restasse lì a casa fino al pomeriggio dell'indomani, con un bambino di otto anni in giro per casa. E' stato doloroso ascoltare questi stupidi discorsi. Siamo numeri, anche nel caso di persone meravigliose come lui.
A poco a poco la casa si è riempita di Carabinieri. Tre volanti. Hanno sequestrato tutte le sue medicine e hanno interrogato la moglie e il figlio per ore. Quelle erano siringhe di eparina, per la sua gamba ingessata. Ho ascoltato sua moglie parlare col tono di chi tenta di giustificarsi per un reato che non ha commesso. L'ho sentita spiegare che non aveva analisi perché avrebbero dovuto farle quella mattina. Le ho sentito dire che lui non aveva mai sofferto di cuore. 
E poi ho sentito dei singhiozzi provenire dalle scale. Era il bambino di otto anni. A quel punto mi si è spezzato il cuore. Ha abbracciato la madre e poi non ha più detto una parola. E' stato suo fratello a prendersi l'incarico di andare a prenderlo a scuola per dirgli cos'era successo. Oggi ho visto un ragazzino di diciotto anni diventare improvvisamente un quarantenne e sinceramente mi mancano le parole per esprimere ciò che ho provato nell'osservarlo. 
In qualche modo siamo riusciti a farci ascoltare e i Carabinieri hanno dato l'autorizzazione a portarlo via, dopo ore di vergognoso scaricabarile tra medici legali, Carabinieri e agenzie funebri. 
Sono andata via prima che venisse la Polizia mortuaria. Voglio ricordare il mio amico sorridente che, con la sua famiglia, mi salutava dalla macchina, qualche giorno fa. Voglio ricordarlo felice, non in un sacco di plastica nero. Proprio no. 
L'ultima immagine che mi è rimasta impressa di quella casa è quella di una targhetta di cuoio appoggiata su un mobile:

"In questa casa abita un papà davvero eccezionale"

La cosa davvero tremenda è che, quando accade a qualcuno che ami, pensare a ciò che accade quando si muore non è più così "divertente". Mentre scrivi un romanzo ce la metti tutta per essere realistica e per non scrivere stupidaggini e ti documenti studiando letteratura specializzata. Fai la cretina guardando un film perché ridi del fatto che non siano stati accurati, fai la spiritosa dicendo che il patologo forense di CSI Miami è uno svitato perché non si accorge che dopo tre giorni dal decesso gli occhi di un corpo non possono certo apparire vivi. 

Beh, oggi non è stato divertente.
E' stato terribile.

Vorrei aver scelto di scrivere frivoli romanzi d'amore, e non polizieschi. Vorrei non aver mai studiato tanatologia forense. 
Oggi ero seduta sui gradini con la testa tra le mani e lui era in camera sua, e il mio cervello correva senza che io potessi fermarlo, e correva, correva, correva verso parole che oggi odio, parole come rigor, come livor, come algor. E' stato tremendo. Odio il mio cervello per avermi fatto questo, per avermi tradito fino a questo punto. Nessuno dovrebbe pensare certe cose delle persone che ama, neanche per esorcizzare la paura, neanche per dare una spiegazione razionale a quello che ti terrorizza. Nessuno dovrebbe permettere che certe cose accadano. 
E così oggi il mio cuore è in mille pezzi. 

Stamattina una famiglia si è svegliata insieme. Stanotte non andrà a dormire insieme. 
Stamattina una moglie è uscita da casa e al suo ritorno era vedova.
Stamattina un bambino è andato a scuola e al suo ritorno non aveva più un padre.
Stamattina un ragazzo ha chiuso gli occhi per cinque minuti e avrà paura di dormire per tutta la vita.
Oggi il mondo è un posto più povero di persone buone e più ricco di persone emotivamente distrutte.

Nascere e morire... il grande respiro del mondo... Dio solo sa quanto vorrei che il mondo trattenesse il respiro, ogni tanto.

E in tutto questo tu non ci sei. Non ci sei mai. In momenti come questi ho spalle fondamentali su cui piangere, ma le tue non ci sono. A volte avrei tanto bisogno di sentire quell'odore rassicurante di cuoio e di Fahrenheit. Ma non c'è. Nonostante tutto, continuo ad aspettarlo ogni giorno. La fiducia che così spesso hai ferito senza nemmeno accorgertene è ancora viva dentro di me. 

La vita è così spaventosa. Vorrei saperti al sicuro. 

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