Feste dolorose...


(la colonna sonora dei miei pensieri del momento)

Sono terribilmente preoccupata per l'ultima notte dell'anno. Da sempre mi tiene sveglia e non solo per la confusione che regna per le strade. Mi circondo di persone che facciano tanto rumore per non sentirmi sola, e in effetti non lo sono. Ma mi mancano tanto delle persone che non potranno essere qui con me perché sono lontane (fisicamente, idealmente...) oppure perché mi sono state strappate via. Quest’anno in particolare, già da un po', sto sentendo le spire di questa notte che sta per arrivare (pure illusioni di una certa dolcezza) stringermisi attorno al collo, lente e setose, quasi fino a soffocarmi. I palinsesti televisivi del periodo che va da Natale a Capodanno, oltretutto, sembrano essere fatti apposta per dare l'ultima, decisa stretta finale. Mi sono sempre chiesta come sia possibile che nessuno abbia un minimo di riguardo per le persone che sono costrette a passare le festività sole come cani. Non aiutano per niente... Prendiamo ad esempio “La vita è meravigliosa”: James Stewart
recita benissimo, e Frank Capra è stato in grado di mettere in scena uno tra i film più commoventi e positivi che io abbia mai visto. George Bailey rientra in casa dopo aver capito quanto la sua vita sia importante per l’intera comunità, comunità che lo ringrazierà dimostrandogli una solidarietà e un affetto che lo porteranno a pensare che nessuno è veramente povero, se ha degli amici. E chi invece di amico non ne ha nessuno? Chi è solo ed emarginato? Come può un film simile farlo sentire meglio durante le feste? Questo pensiero mi turba fin dall’infanzia.


Dal momento che non c’era niente che fosse meno triste in tv, ho guardato “Mary Poppins”. Lo so, non è un film triste, ma sto scrivendo perché mi ha messo una gran tristezza la canzone che parla della vecchietta che vende il becchime per i piccioni, seduta sui gradini della cattedrale. Quella canzone mi ha sempre fatto stridere qualche ingranaggio proprio dietro lo sterno, perché quando sei piccolo (ma nel mio caso tuttora) non fai tanto caso alle parole quanto alle inflessioni. Film come questi in giornate come queste aprono linee di pensiero che dovrei bandire dal mio cervello. Eppure ci casco sempre, e quelle linee di pensiero percorrono la mia mente in modo rapido e preciso, come crepe sottili che producono un suono impercettibile. Il risultato è che, ancora una volta, mi sorprendo a pensare a quando, a quest’ora, eravamo tutti nell’attico di zia Anna, con il velluto color pesca alle pareti, la moquette marrone scuro e il parquet color miele per terra, in quella casa piena di cappelli e di ninnoli, con i suoi profumi, i suoi colori, le mille attrattive e con quella biblioteca che, quando ero alta un metro e mezzo, consideravo immensa. Ricordo quella libreria con una nostalgia quasi fisica. È stato frugando tra quei volumi ingialliti che ho imparato ad amare l’odore dei libri vecchi e polverosi. Pochi odori sono così pieni e buoni, pochi odori mi procurano una tale soddisfazione.
Dopo questi primi ricordi, ne sopraggiungono subito altri, in rapida successione. Ricordo la scatola di cristallo piena di caramelle, sul tavolino basso tra due divani disposti uno di fronte all’altro, e lo scaffale di vimini pieno di elefantini di tutte le misure e di tutti i colori. Ricordo le mattonelle rosse dell’enorme terrazzo che circondava la casa: calde al sole, le sentivo irradiare il loro calore attraverso il mio corpo, quando mi sdraiavo sul pavimento. Quelle delle mura, invece, erano tra il verde acqua e l’azzurro e, se le accarezzavi coi polpastrelli, rilasciavano una specie di polvere sottile, come un sale estremamente fine. Ho ricordi di voci, quelle dei miei cugini più grandi, Marco, Monica e Gianluca che trafficavano con una ricetrasmittente cb, più semplicemente chiamata “baracchino”, e ricordo che, mentre loro facevano capannello attorno a quell’affare e io li guardavo seduta sul letto di Gianluca, zia Anna mi metteva un libro in mano.
Ricordo le avventure di Mr. Bristow, di Frank Dickens. Adoravo Mr. Bristow e tutti i suoi colleghi. Durante i giorni d’estate, davo il tormento a zia anche mentre faceva il suo pisolino, perché mi piaceva molto sentirla leggere con enfasi e con voci diverse quei fumetti.
Ricordo mio cugino Edoardo (di soli cinque anni più grande di me) che si piazzava dietro tutti gli angoli per farmi prendere un colpo, e ricordo che ogni tanto quei suoi “Bù!” fragorosi mi facevano cadere a terra. Trovo buffa questa cosa, perché di solito sono le capre a fare così: sentono un forte rumore e cadono a terra svenute. Le famose fainting goats.
Ricordo che mentre mangiavamo, seduti tutti attorno ad un lungo tavolo pieno zeppo di ogni ben di Dio, ognuno si parlava sopra, e c’era una grande allegra confusione. Si parlava di qualsiasi cosa, ma alla fine non si sa come, si finiva sempre per parlare di cacca. Ricordo lo stordimento di serate come queste, serate strane con la confusione di fuori e la confusione a tavola, con le donne che parlavano di cose che di cui ancora non capivo l’importanza, come trucco, capelli, peso, vestiti, profumi, e gli uomini con i loro discorsi pratici a cui volevo tanto prendere parte. Non era esattamente una festa,  ma era uno di quei pochi giorni in cui tutti erano a casa, e potevamo stare tutti insieme. Ero davvero felice. E il bello è che ero davvero convinta che lo fossero anche tutti gli altri. E invece non era così. La verità è che nessuno dei presenti era veramente felice.
Che dire di oggi? A sentire mia madre non è così, ma la mia famiglia si è evoluta in qualcosa di molto diverso. Fondamentalmente siamo diventati isole. Il nostro “stare insieme” si è apparentemente sgretolato come una zolla di terra arida. Serate come queste me lo ricordano. Per questo odio il Capodanno. 

Quest’anno, però, nella mia mente si è fatta strada una consapevolezza diversa.
Mentre assistevo all’umiliazione del Signor Banks (“Mary Poppins”, ricordate?) e mentre lo vedevo dare di matto con una bombetta sfondata in testa, mi sono voltata e ho guardato. E guardando, ho visto. Alla mia destra c’è Stefano che sta dormendo. Ha i capelli tutti scompigliati, il braccio sinistro fuori dalle coperte e le mani vicine al mento. Sembra un bambino. Del resto, ho letto da qualche parte che quando dormiamo sembriamo tutti un po’ bambini. Sento il suo respiro tranquillo e regolare e mi sento più serena. Sono sette anni e mezzo che mi respira vicino, ma forse mai come quest’anno mi rendo conto di quanto questa cosa sia importante per me. Certe cose cambiano. E anche la mia famiglia. È inevitabile, fa parte della vita, della nostra evoluzione personale, e non si può vivere solo di passato, né pretendere che tutto rimanga sempre invariato. Ho capito... ho capito che quest’anno mi tocca crescere, lasciarmi alle spalle la bambina con i denti larghi che ero. Stasera mi sono resa conto che si ricordano con nostalgia le cose belle che non si hanno più, ma mi rendo conto che una cosa bella come questo respiro non l’ho mai avuta prima.

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4 commenti

  1. Mi hai commosso sino alle lacrime stelìn. Ed è tutto vero quello che provi. Ed è struggente ma bellissimo :-*

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  2. Cara,

    mi sono permessa anch'io di leggere.
    E anch'io mi sono commossa. Perché anch'io vivo, quest'anno in modo specialmente drammatico, la traformazione della mia famiglia, di chi ho vicino; della mia vita. Anche del mio impegnativo e amatissimo lavoro.
    Non sono 'vecchia', eppure nella mia esistenza in un decennio scarso si sono abbattute ondate che hanno spazzato via o irrimediabilmente lesionato quelli che credevo i miei solidissimi pilastri. E al ritirarsi delle onde lo scenario – casa compresa – si è ripopolato lentamente in modo nuovo e impensabile prima. Con me lì a guardare, attonita, e pian piano anche, grazie a Dio, curiosa.

    Cerco di non guardare indietro. Cerco di accarezzare con lo sguardo e con il cuore quello che c'è, CHI c'è, e di custodire quello che c'era ed ha lasciato traccia in un equilibrio faticoso, caparbio, così come nei momenti di abbandono e di pace, di nuovo slancio.
    Cerco di non perdere la capacità di stupirmi e di provare gratitudine, anche per questa nuova e sofferta maturità. E avverto, con una sorta di dolce consolazione, che nulla riesce a farmi perdere la 'simpatia' (nel senso etimologico) per gli altri - familiari e sconosciuti.

    Non so perché ho scritto a te, io che di solito non parlo di me stessa neanche sotto tortura.
    Forse perché fra gatti, amore per i libri e curiosità per il prossimo ti sento affine, così come intuisco sorridenti e intense sfumature di sintonia in chi ha commentato prima di me.
    Forse perché hai toccato delle corde sensibili, alla fine di una giornata dura.

    Ti ringrazio, ti chiedo scusa per l'invasione, ti abbraccio.

    Monica

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  3. @Mitì Grazie mille per la comprensione, per il tuo caro commento e per quello "stelìn" che (qui posso scriverlo senza pensare ai 140 caratteri!) mi ha trasmesso tanto calore e mi ha davvero commossa. Sei davvero una cara persona e lo penso da quando il tuo "Il sale di Adamo" mi ha fatto passare tante ore felici dopo che mia madre me lo regalò per risollevarmi il morale durante una brutta influenza. Dopo tante e tante riletture, è diventato uno dei libri più vissuti della mia libreria e gli voglio tanto bene perché continua a regalarmi sorrisi. Perciò grazie ancora. Davvero.

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  4. @Monica Grazie per avermi fatto dono della tua esperienza personale. Sono molto felice che ti sia sentita libera di esprimerti nonostante la tua naturale riservatezza. Mi sono emozionata leggendo il secondo paragrafo: racchiude quelle che sono le mie speranze per il futuro. Spero tanto di trovare l'equilibrio giusto che mi permetterà di fare tutte quelle cose. Cerco la strada che mi porterà alla maturità, anche se sarà un percorso sofferto come capita alla maggioranza delle persone. Pian pianino ci arriverò... e nel mio percorso cercherò in tutti i modi di non perdere mai di vista questo: "E avverto, con una sorta di dolce consolazione, che nulla riesce a farmi perdere la 'simpatia' (nel senso etimologico) per gli altri - familiari e sconosciuti." Penso che questo sia molto, molto importante!
    Grazie ancora per avermi affidato una piccola parte della tua storia e delle tue sensazioni, e sono tanto contenta che tu sia passata di qui, anzi, passa pure quando vuoi, ché mi fa tanto piacere.
    Un abbraccio anche a te, e alla cara Maia la Micia!

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